Nel bosco di Don Venanzio

Il Bosco di Don Venanzio è una riserva estesa all’incirca 78 ettari, situata tra i Comuni di Vasto e Pollutri. Al suo interno, nelle vicinanze dell’ingresso, ospita un casolare, ex cascina di caccia dei marchesi d’Avalos. Considerato uno degli ultimi esemplari di bosco planiziale della costa adriatica, è purtroppo solo ciò che resta di un bosco precedente decisamente più grande. È attraversato dal fiume Sinello ed è costituito da una serie di terrazzi fluviali progressivamente decrescenti. È un bosco d’alto fusto e ospita varie specie di piante ed arbusti. Un posto interessante da visitare e non lontano da raggiungere da casa mia. Dall’ultima volta che ci sono stato ne è passato di tempo e decido quindi di tornare a visitare il Bosco di Don Venanzio. Arrivo a destinazione a metà mattinata. Il cielo è sereno e la temperatura è mite. Dopo essere entrato, inizio subito la mia passeggiata. Mi dirigo verso il casolare e mi muovo nell’area antistante, dove è situata la terrazza. Sceso al di sotto di questa, decido di seguire il percorso del bosco. Mi muovo lungo i sentieri che mi trovo di fronte. Cammin facendo, osservo la vegetazione: vari tipi di piante ed arbusti, a riprova della ricchezza della flora che mi circonda e in cui mi sento come immerso. Ad un certo punto, ho l’impressione di scorgere una sorta di stradina snodarsi tra gli alberi, e decido di percorrerla. Mi trovo a camminare in un sentiero fattosi decisamente più stretto, tra un albero e l’altro, sempre più in profondità, fin quando decido di fare retromarcia e rientrare nel percorso principale ma, seguendo il sentierino a ritroso, o così credevo, mi ritrovo di fronte ad una vera e propria pietraia, caratterizzata da un intersecarsi di arbusti e sassi di colore biancastro, e decido di andare avanti seguendo il nuovo percorso. Camminando lungo il sentiero pietroso, comincio ad incontrare delle polle di acqua profonda giusto qualche centimetro, nulla di rilevante ma sufficienti a confermare l’idea che si stava facendo strada nella mia mente: evidentemente quello che adesso sto seguendo è il percorso del fiume. Mi sto dirigendo, come dimostrano i rivoli che comincio ad incontrare davanti a me, ‘ad incontrare’ il Fiume Sinello. Gli specchi d’acqua stanno diventando a mano a mano più ampi e più profondi, inoltre, in più di un’occasione, la loro ampiezza è tale da attraversare tutto il sentiero, costringendomi, per andare avanti, ad attraversarli. La cosa risulta agevole fin quando si tratta di pochi centimetri, decisamente meno agevole quando i centimetri diventano diverse decine, capaci di inghiottire i miei piedi per tutta l’altezza delle scarpe e oltre. Ogni tanto mi fermo per riordinare le idee, riprendere un po’ di fiato e, già che ci sono, bermi un bicchier d’acqua. I miei guadi stanno diventando, strada facendo, sempre più impegnativi, costringendomi ad immergere le gambe anche fino al ginocchio, cosa che non avevo francamente previsto ma, arrivato a questo punto, fatto trenta farò trentuno, e decido di andare avanti. Quando entro in acqua mi trovo in compagnia di vari ospiti del fiume, come pesciolini di varie fogge e colori e insetti di vario tipo. Continuando ad avanzare, il fiume Sinello è ormai stabilmente alla mia sinistra, e il sentiero che percorro sta diventando sempre più stretto. Ad un certo punto, succede ciò che temevo: per avanzare devo per forza guadare quello che ormai è il fiume vero e proprio, e per diversi metri. Dopo essermi guardato attorno per cercare un’altra eventuale via per avanzare, decido di tentare il guado. Non appena metto la prima gamba in acqua, con molta cautela perché mi rendo conto della situazione, mi ritrovo con l’acqua che mi arriva all’anca. Mi rendo facilmente conto che il confronto col fiume questa volta non sono in grado di vincerlo e, a questo punto, faccio quello che fino ad ora non avevo voluto fare: giro i tacchi e me ne torno da dove ero venuto.

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